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2/2/06 - 663 click

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penna Memorie di un giorno triste

Mentre fuori tutto dorme mi alzo e scostando la tenda, che copre la finestra come un manto pietoso, guardo un gatto che scivola furtivo nella notte.
Ancora una volta il sonno non arriva e a chiudere questa giornata non ci pensa nemmeno, allora prendo un libro, un libro di poesia... un poeta indiano... Tagore, lui parla d’amore l’amore al di sopra di tutto e tutti.
Sarebbe bello credere a quello che afferma, vivere immersi in un’atmosfera fatata dove tutto incede senza affanno né rancore... ma ti accorgi appena sorge il sole che tutto questo vive solo nelle pagine di un libro e non trova corrispondenza in quello che ogni giorno la vita ti da o in quello che tu le sottrai.
Eppure quelle parole devono avere un senso... da qualche parte.
Partire.
Prendo il primo volo verso una meta ignota, chissà dove mi porterà... lontano questo sì.
Come un uccello migratore volo da un paese all’altro, fermandomi solo per riposare alla ricerca di chissà cosa o chi.
Vorrei avere la mia Route 66 e correre sulla strada contro il vento che porta via ogni cosa, lasciando solo una linea immaginaria da seguire.
Mi sveglio al salmodiare di un muezzin in un paese che non conosco, ma non ho paura... le parole che fluttuano nell’aria, come tante note musicali in un pentagramma immaginario, sono dolci all’orecchio e mi aiutano ha ritrovare la strada.
Camminando in una calura soffocante, udendo un brusio a me sconosciuto, vedo persone indaffarate, mercanti e donne che camminano in fretta, bambini che corrono, realizzo... sono in un suk arabo.
Mi accorgo che tutto ciò è vero, come in un disegno di Picasso tutto sembra confuso quando invece è chiarissimo... basta guardarlo da un’altra prospettiva,
non è come la città in cui vivo dove tutto, come qui, è in movimento ma in modo informe, un ammasso di esseri che vagano sempre nella stessa maniera, larve che si cibano di indifferenza e solitudine, vivendo una vita già pianificata, frenetica, delirante... realizzando solo frustrazioni.
Apparire, mostrarsi, sdoppiarsi... diventando il dottor Jekill di se stessi.
Trovo in questo posto così misero e dimesso, riconciliazione con me stesso, lontano dalla ricerca ossessiva di status symbol appariscenti e insignificanti.
Sempre alla ricerca del vacuo e dell’effimero, ci perdiamo nutrendoci di putridume, obliando tutti gli appuntamenti importanti...
Tutto sembra essere tornato normale... finalmente vivere senza lasciarsi trasportare dalla futile corrente dell’ipocrisia.
Appagato mi siedo e ammiro ancora questa rappresentazione del vivere che accarezzandomi dolcemente m’invita a condividerne i contorni.
La parola vivere non mi abbandona più, quante volte l’avrò ripetuta, ma finalmente riesco a pronunciarla, quando fino a qualche giorno fa non sapevo nemmeno che potesse avere un senso.
Come è dolce esserci.
Respirare a pieni polmoni l’aria e sentirsi finalmente partecipe.
Come è facile... si tratta solo di un gioco dove, come in un grande flipper, diventiamo palline rimbalzanti alla ricerca di punti... e basta, non ci si chiede nient’altro.
Mentre tutto intorno continua, scorrendo come l’acqua di una cascata sulle pietre... a volte impetuosa a volte mansueta... mi sento come un viaggiatore nella tempesta (parafrasando un grande artista) teso fra due mondi completamente opposti che si guardano in cagnesco come in un ring... dimenando le mani.
Deforme comportamento.
Decisioni scellerate di chi conduce il gioco, provocano riti indecifrabili di stupidità... già stupidità, paradosso, l’unica specie intelligente che riesce solo a fare cose stupide.
Libero arbitrio... esclusivamente masochistico...
Non era questo il disegno di colui che plasmando la vita costituì il nucleo della propria discendenza.
Ora sta a noi... credenti e non rendere il nostro viaggio il più indolore possibile... perché, ne sono sicuro, è l’unica forma possibile di realizzazione...
Siamo solo di passaggio e come tutte le cose che passano... effimere... non scopriamoci natura morta.
Viviamo.

Scritto da Sarino, 11 settembre 2001



Commenti (3):
fiorderica
alle 23:16:05
del 8/2/06
Grazie ssarino per la tua replica. Vedo che con parole diverse abbiamo espresso lo stesso pensiero: Amore per amore e luci di un'unica luce, con idiomi diversi, con differenti lingue, in ogni punto del pianeta...dal portone di casa ai confini del mondo!
Ancora grazie,
fiorderica
ssarino
alle 22:15:41
del 8/2/06
Sant' Agostino diceva ""ama e fai ciò che vuoi""...quanta semplicità in queste parole, ma così cariche di forza e di gioia da stimolarci ad amare veramente il nostro prossimo. Cosa ci potrebbe essere di più bello che lasciarsi trasportare dalla dolcezza di simili pensieri. Purtroppo la fotografia che io ho fatto del nostro vivere quotidiano e ben diversa… nella quale la miseria, la povertà e la disuguaglianza di cui parli sono sotto il portone di casa...non c'è bisogno di andare un suk arabo.
La dissertazione sul canto del muezzin intende raffigurare un momento di preghiera e di pace, dimostrare come ogni aspirazione a Dio, da qualunque parte provenga, provochi in colui che la cerca una sensazione di serenità e di comunione, che poi questo avvenga a Milano piuttosto che a Kabul poco importa. Sono più che convinto che il dialogo fra i popoli, la reciproca conoscenza di tradizioni usi e costumi, sia necessaria affinché l’umanità intera tragga giovamento in termini di tranquillità e di fratellanza.
Quando Dante parlava di…””corrispondenza di amorosi sensi””, penso che volesse affermare che l’amore vada coltivato insieme, da solo diventa sterile.
Quindi eleviamo inni alla bellezza dell’amore…anche nelle piccole cose quotidiane.
Ciao e a presto.
ssarino
fiorderica
alle 11:24:30
del 7/2/06
Ho letto più di una volta le tue riflessioni, per comprenderne le metafore, per catturarne i significati.
Se Tagore si espresse sui significati dell'Amore e sulle sue estrinsecazioni, evidentemente li sperimentò e poi li diffuse.
Ora, quandanche la vita ci pone davanti a difficoltà più o meno pesanti, nulla ci impedisce di sperimentarci nel vivere l'Amore, sotto qualsiasi forma si presenti e in qualunque tempo lo viviamo.
Dici bene quando accenni al massimo dono fattoci dal Creatore, "il libero arbitrio" fa di noi i ricercatori e i cesellatori di quell'Amore che ci fu infuso dalla nascita e che, mano a mano, si macchia di disattese aspettative, di distacchi non voluti, dell'ipocrisia che lamenti e che tutti lamentiamo.
Che fare, arrendersi e distrarre la nostra libera scelta di amare perché la nostra esperienza è diversa da quella agognata?
Spererei di no, sarebbe come scegliere del fango per cambiare i nostri connotati, sperando che l'argilla faccia il suo lavoro.
Ogni giorno mi risuonano nelle orecchie le parole del Buon Dio : "Tu sei l'amato, in te mi sono compiaciuto". Quale migliore identificazione con l'Amore? Essere Amore e nel contempo essere amati senza condizione specifica, a prescindere da tutto e da tutti. A me non sembra poco.
Sono stata in Marocco e almeno 3 volte al giorno sentivo il canto del mautzin, era in arabo e non ne comprendevo le parole. Non credo bastasse un canto per diffondere pace e serenità tenuto conto che nelle kasbe e nelle antiche Medine è ancora viva la più antica desolazione, in termini di sofferenza, di povertà, di diseguaglianza sociale, talvolta di disperazione e di palese iniquità.
Non è mio compito valutare se l'islamismo sia risolutivo o no del dubbio sulle modalità di vivere l'Amore. Credo che per tutti gli esseri umani ci sia un momento di riflessione su questo concetto che coinvolge l'intera vita di ognuno.
Condivido la tua opinione che occorre "vivere" e in questa accezione verbale includo l'attività del nostro libero arbitrio che ci permette di essere protagonisti dell'Amore e non comparse.
Ti chiedo scusa per la prolissità della mia replica. E' comunque un apprezzamento al sasso che hai lanciato con la tua riflessione.
Con stima,
fiorderica


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