Due volte lei
Una giovane coppia stabilitasi da poco in una nuova casa. Una sera Alain, brillante ingegnere di robotica domestica, decide di invitare a cena il suo capo insieme alla moglie. Un evento banale: un lavandino intasato per la presenza all’interno del tubo di scarico di un “lemming”, un piccolo roditore della Scandinavaia!
E’ lincipit del film “Due volte lei”, diretto da Dominik Moll, che ha inaugurato il Concorso della recente edizione del Festival di Cannes. Ed altro non si deve sapere (o non si può fare per manifesta inettitudine ed incomprensione del sottoscritto) di una trama che sospesa tra il fantastico, l'immaginifico, lo psicanalitico e l'incartamento su se stessa poco alla fine è d'aiuto per l’esito di tutta l’operazione. Che è quello di un'opera potentemente evocativa (lo stesso autore ha confessato di essere rimasto da giovane incantato, pur non comprendendo molto, da un film come il “Satyricon” di Fellini) e che inspiegabilmente ci fa inabissare nelle luci (le penombre degli interni contrapposte alla luminosità degli esterni), nelle forme rigorose ed implacabili, nei suoni spogli e diretti di una realtà “altra” che come un inquietante “lemmus lemmus” sta li a ricordarci l'irrazionalità e la precarietà della nostra vita cosiddetta normale. Certo che il “mood” narrativo e l’ottica di sguardo scelti da Moll per raccontare questa sospesa visione dell’esistenza umana possono lasciare freddi, confusi ed annoiati (nel suo precedente “Harry un amico vero” ci aveva ugualmente sorpreso ma più pienamente convinto!). Così come una piatta recitazione sopra le righe ed a tratti volutamente esagerata nella sua costruita discorsività non sono d’aiuto per una diversa comprensione e naturale empatia con protagonisti che si vorrebbero prototipi di variegate esperienze umane (tutti gli interpreti Laurent Lucas, Charlotte Gainsbourg, Andre Dussolier e Charlotte Rampling assolvono alla perfezione al loro compito). Resta allora l’indefinito piacere e sfocato gusto di assistere ad un “meraviglioso” spettacolo della vita umana imploso e silenziosamente assordante, specchio del mal di vivere quotidiano di una società boccheggiante.
Scritto da Calogero Messina