Truman Capote: a sangue freddo
“A sangue caldo”? Scriverei: romanziere, sceneggiatore, drammaturgo presuntuoso, egoista, affettato, indisponente, sfacciato, impertinente, furbescamente ironico... in una parola: un genio!
“A sangue freddo”, invece, ripenserei alla visione di un film imploso come “Truman Capote” di Bennett Miller (noto regista di spot pubblicitari che abilmente ha saputo mettere da parte il suo bagaglio artistico per mettersi al servizio di questo script) come il raro caso ed esempio di un cinema americano capace di costruire “biopic” non sempre conformandosi o omologandosi a stilemi e cliché narrativi risaputi e limitativi. E getterei uno sguardo nuovo alla figura controversa di questo narratore avvincente, uomo di spirito, esponente di spicco del jet-set che attraversa il racconto, perfettamente scritto da Dan Futterman (dal libro di Gerald Clarke), disseminando luci e ombre sul suo percorso di vita e di artista mai cercando facili compiacimenti o ruffianerie premeditate.
La cronaca della nascita del libro capolavoro “A sangue freddo” (a sua volta la fedele ricostruzione del caso d’omicidio che vide unire i destini di Capote a quello dei due killer), risulta così una tesa ed avvincente analisi che vede contrapposte il privato, il polito, il sociale di un uomo e di una nazione chiamati ad indagare sul marcio nascosto nelle proprie viscere.
Un confronto dolente e straziante che nella ricostruzione di Bennett Miller rasenta una fredda emotività ed algidità di sguardo che lentamente avvince e ci stordisce.
Merito anche di un Philip Seymour Hoffman/Capote con – ne siamo certi – l’Oscar già nelle proprie mani (ed auguriamo anche all’attrice Catherine Keener, nel ruolo dell’amica scrittrice Harper Lee, di stringere a breve l’ambita statuetta), a suggello di una carriera che andrebbe premiata per la totalità e complessità di ruoli nei quali ha sempre saputo infondere il suo carismatico talento e passionalità intensa.
Scritto da Calogero Messina