E’ veramente un gran peccato che in Italia non si riesca più a pensare ed a produrre un sano, dignitoso e vitale cinema di genere (guardiamo con ammirazione cosa sono capaci di fare i nostri “cugini” francesi!).
Perchè “La cura del gorilla” – opera d’esordio del pubblicitario Carlo A. Sigon dalla serie noir di Sandrone Dazieri – ne potrebbe essere un felice esempio ma che proprio per una “deficienza” di risorse creative e produttive allevate in questa direzione non convince per indecisione e scarso spessore di intenti e progettualità. E dire che stavolta - dopo l’esperienza non proprio esaltante di “Asini”- il personaggio che Claudio Bisio si è fatto cucire personalmente addosso gli sta alla perfezione: nel ruolo del detective “Gorilla” dalla doppia personalità – l’una bonaria/cialtrona/ironica l’altra razionale/fredda/violenta – è convincente per misura di toni e sfumature e sorprendente per espressività e gestualità inedite che lo rendono protagonista a tutto tondo... ma forse gli sceneggiatori Sigon/Dazieri/Plastino non ne erano tantO convinti se gli hanno costruito addosso una pesante ed eccessiva voce fuori campo.
Così nonostante un interprete di razza capace da solo di accentrare l’attenzione e la curiosità dello spettatore per una storia “noir” fin troppo sfilacciata e poco credibile “La cura del gorilla” nel suo altalenante svolgersi sbanda alla cieca alla ricerca di un “mood” narrativo/emozionale che sino alla fine non riesce a trovare.
L’utilizzo sottotono o fuori parte di alcuni interpreti (come il mitico Ernest Borgnine, la scontata presenza femminile affidata a Stefania Rocca o il contorno di “caratteristi” come Antonio Catania, Bebo Storti o Gigio Alberti), il montaggio o l’uso delle luci che ancora risentono di una chiara impronta pubblicitaria ed una regia fintamente partecipe ma ruffiana fanno de “La cura del gorilla” l’occasione sprecata per un riscatto della nostra apatica e monotona produzione cinematografica che sempre meno osa alto e si avventura per lidi sconosciuti.