The door in the floor
L’elaborazione del lutto è uno dei temi più ostici, “pericolosi” e misteriosamente affascinanti di cui il cinema – con esiti alterni – si è più volte occupato. Da “Gente comune” a “La stanza del figlio”, ardua è sempre stata l’impresa di raccontare l’oscuro, il soffocato, il non detto, il rimosso ed il deflagrante/silenzioso dolore che sconvolge l’esistenza umana colpita da una grave perdita. E soprattutto la sofferenza di un genitore per la perdita di un figlio è uno degli scenari più strazianti ai quali ci si possa accostare per pudicizia di emozioni ed uragano di sentimenti contrastanti. Dal libro di John Irving “Vedova per un anno”, nasce un altro racconto che indaga sul dolore di un padre ed una madre che hanno perso tragicamente i due figli gemelli. La versione cinematografica – “The door in the floor” – diretto dall’inesperto (per la complessità e delicatezza della materia) Tod Williams – è la trasposizione in immagini del lento rinascere alla vita di Ted Cole, famoso autore di libri per bambini, e della sua bella moglie Marion. Testimoni oculari ed involontari di questo doloroso passaggio, la piccola figlia Ruth ma soprattutto il giovane Eddie che viene assunto dallo scrittore come suo assistente ma che si ritrova suo malgrado(?) a vivere sulla propria pelle le “atrocità” e bassezze di un’umanità adulta che ancora non ha imparato a fare i conti con i tragici eventi di una vita sempre maledettamente sorprendente. Va dato merito al regista e sceneggiatore Williams di aver evitato sia facili scorciatoie sentimentali che di premere sull’acceleratore di uno scontato pietismo, concentrandosi sui silenzi e sottintesi passaggi che conducono questo nucleo familiare ad una difficile riscoperta della vita. E dove un’inesperta padronanza del mezzo e dei tempi cinematografici provocano evidenti lacune narrative e di tensione emotiva, a supplire ci pensano interpreti di razza come Jeff Bridges e Kim Basinger (insieme al ragazzo Jon Foster), marito e moglie, padre e madre che con i loro volti segnati, naturali e veri, i loro silenzi e sguardi intensi raccontano con dignità ed essenzialità del dolore di vivere. |