Le chiavi di casa
La mostra del cinema di Venezia 2004 non ha tenuto in nessun conto il film di Amelio che racconta i problemi, le angosce, le paure e le speranze di un padre che ha un figlio disabile e cerca in ogni modo di stabilire con lui un rapporto positivo.
Liberamente ispirato al romanzo “Nati due volte” di Giuseppe Pontiggia il film "Le chiavi di casa" avrebbe meritato almeno un riconoscimento alla Mostra.
Certo un premio molto gradito lo ha avuto: otto minuti di applausi sinceri del pubblico alla prima con standing ovation in “Sala Grande” al Lido, una grande emozione nel cuore degli spettatori, recensioni della stampa tutte favorevoli, un’uscita nelle sale italiane col numero record di 250 copie.
Le chiavi di casa, in fondo, ha già vinto la più difficile delle sfide. Il regista Gianni Amelio ha trattato un argomento pericoloso come l’handicap che tocca sempre le corde del cuore, senza cadere nello scontato, nel patetico, nel retorico.
Invece ne è venuto fuori un bel film e grandi interpretazioni: scarne, essenziali nei gesti, nelle parole e nella recitazione. Un trattenuto Kim Rossi Stuart, uno straordinario Andrea Rossi, una gigantesca presenza scenica di Charlotte Rampling.
Sceneggiato insieme a Gianni Amelio, da Sandro Petraglia e Stefano Rulli (quelli del film La meglio gioventù), per la fotografia di Luca Bigazzi e la musica di Franco Piersanti.
Un film che certamente lascia un segno che non si cancellerà in fretta.
Diretto come ci si può aspettare da uno dei migliori registi del nostro cinema, il film che è stato “più subìto che scelto” da Amelio segue la sofferenza dei protagonisti con una leggerezza assoluta. Girato l’anno scorso in Germania e Norvegia è ambientato a Berlino.
Difficilissimo riuscire a spiegare quanto il ragazzo (Andrea Rossi, diciassettenne disabile, problematico e imprevedibile), riesca a dare un tocco personale, da vero attore, alla sua parte.
E’ “intessuto attorno all’estro del suo giovanissimo co-protagonista” afferma Amelio.
Un film consolazione, un’oasi di pace, un momento di tranquillità per chi ama il cinema italiano.
Si sa che le persone disabili sono chiuse nel loro mondo di difficile accesso, quindi le difficoltà per Amelio non sono state di poco conto, far sembrare spontanee le scene girate tante volte in modo un po’ forzato, richiede maturità e voglia di narrare la complessità di vivere, mantenere su uno stesso piano l’umorismo e il dolore, la felicità e la disperazione è sicuramente un’operazione non facile. Ebbene il regista c’è riuscito.
Tornava alla Mostra di Venezia dopo aver vinto il Leone d’oro nel 1998 con "Così ridevano" proponendo, in questa occasione, il recupero di un rapporto affettivo padre-figlio, tornando ancora, come già in "Il ladro di bambini" del 1992, sui percorsi di formazione, dove spesso sono gli adulti a dover imparare dai più piccoli.
La stessa Rampling ha confessato “da questo film io ho imparato tantissimo”.
La giuria, che ha premiato con il Leone d’oro per il miglior film "Il segreto di Vera Drake" dell’inglese Leigh, con il Leone d’argento per il miglior film Mare dentro dello spagnolo Amenabar e con il Leone d’oro per il miglior regista il coreano Kim Ki-duc, non è stata dello stesso avviso. Un’occasione mancata per valorizzare il cinema italiano. Peccato!
Scritto da Pierluigi Capra