Sfaccettature d'amore
Non amare può essere una disgrazia grande quanto l’amore non corrisposto: il vuoto che si forma dentro di noi rischia di divenire incolmabile senza darci tuttavia possibilità di scelta.
Come dice Dino Basili nel suo “L’amore è tutto – Breviario neo-romantico per il Duemila”, “si dà meno confidenza all’amore quando si è subito un grande disamore”.
Meno catastrofico è essere innamorati dell’amore: “chi ama l’amore ama la vita” disse qualcuno in tempi lontani; amare l’amore vuol dire vivere in un perenne stato di dolce malinconia, di felicità accennata, che basta un attimo per ravvivare di toni più accesi, come farebbe un sorriso offerto dalla persona giusta un momento prima che l’innamorato perda l’effettiva speranza di venir mai amato.
Come disse Leopardi “i migliori momenti dell’amore sono quelli di una quieta e dolce malinconia, dove tu piangi e non sai di che, e quasi ti rassegni riposatamente a una sventura e non sai quale”.
Forse rimangono solo pochi animi romantici nel mondo: tutto ormai è così cinico e veloce, così sbrigativo e superficiale. Almeno lo è in apparenza. Mi trovo a parlare con una ragazzina. Il divario d’età non è poi così grande, ma sono le generazioni a fare la differenza: un quasi coetaneo ha fatto suo malgrado breccia nel suo cuore; che deve fare? “Per conquistarlo?” chiedo ingenuamente. “Ma no, per dimenticarlo”.
E’ forse in questa direzione che sono mutate le cose: non c’è più l’amore per la lotta, per la conquista, per la ricerca. Si abbandona con troppa facilità, perché è più semplice lasciar perdere e arrendersi subito. I sentimenti non sono cambiati, fanno ancora girare il mondo e colpiscono a tradimento, quando uno meno se l’aspetta, tormentandoci nel bene e nel male e sballottandoci in molte direzioni diverse. Ad essere cambiata, forse, è la reazione nei confronti di questi sentimenti. Mi trovo nuovamente costretta a citare Basili, ma la definizione da lui pescata in un giornale umoristico e riproposta all’inizio del suo libro è tanto illuminante che ne vale sicuramente la pena: “L’amore è quel certo sentimento pazzesco e per di più pieno di incognite. Comunque, meglio prendere che lasciare”.
O forse, ancora più semplicemente, l’amore in età ancora acerba, desta un po’ di sacrosanto (e, lasciatemelo dire, opportuno) timore, quella paura non solo del rifiuto, ma anche del consenso che si può vivere in maniera così intensa soprattutto quando la transizione tra bambino e adolescente non è ancora del tutto completata. Calza a pennello la definizione di Goethe di affinità elettive, perché, a mio modo di vedere, rispecchia il modo di amare più comune in quella splendida età che è la preadolescenza: “Non c’era bisogno di sguardi, di parole, di gesti, di contatti: solamente il puro stare insieme”.